di e con Valentina Caggio Tatonetti
Lo spettacolo è liberamente tratto dal racconto Minotaurus di Friedrich Durrenmatt, è una lettura danzata del mito Minotauro, rivisto, vissuto dai suoi e dai miei occhi.
Vive in un labirinto creato dagli uomini per non mostrare la sua bellezza mostruosa, la sua differenza, la sua umanità, la sua bestialità e la sua deità . Labirinto psichico, labirinto per chiuderlo, per imprigionarlo, per proteggere gli uomini dall’essere e l’essere dagli uomini. Ovunque vi sono specchi che riflettono la sua immagine, che gli fanno credere di essere uguale a tanti altri come lui, ma è una presa di coscienza vana, danza come un bimbo mostruoso, come un mostruoso padre di se stesso, come un dio mostruoso.
La relazione con gli altri porta solo morte: prima degli altri, poi la sua .
Rimane innegabilmente solo, deve restare solo, insopportabile il mostro, insopportabile il suo farsi uomo. Egli danza la sua deformità, la sua bellezza, la gioia di trovare, la paura di essere stato trovato, la sua liberazione, il suo destino, il suo addossarsi, la sua ripulsa, il penetrare, l’avvinghiare, la vita, la morte.
E’ l’ingiuria degli dei, la maledizione degli uomini, colpevole e incolpevole insieme, ruota della maledizione che grava su di lui, ruota che si rivolta su di lui, ruota a cui era arrotato.
Intorno a lui c’è solo odio, paura, deve essere domato, maltrattato, cacciato, macellato, divorato e allora doma, maltratta, caccia, macella, divora. Cerca di fuggire, ma si trova sempre di fronte a se stesso, era ovunque se stesso, ininterrottamente se stesso, rimane sempre escluso e rinchiuso insieme.
Può solo sognare di essere uomo, il linguaggio, la fratellanza, l’amicizia, la sicurezza, l’amore, la vicinanza, il calore.
Danza la sua felicità, la sua dualità, la sua liberazione, il tramonto del labirinto, l’amicizia fra i minotauri, gli animali, gli uomini e gli dei , gettandosi tra le braccia aperte dell’ altro, confidando di avere trovato un amico . E viene ucciso.
un estratto